Rock News
02/03/2023
Durante la sua lunga intervista con il numero uno dei conduttori radiofonici americani Howard Stern, il fondatore dei Linkin Park Mike Shinoda ha raccontato di aver scritto il singolo di maggior successo della band, In The End, in una notte in studio a Los Angeles: «Fuori dalla porta era pieno di tossici e prostitute» ha detto a proposito dei NRG Recording Studios di North Hollywood, dove nel marzo 2000 i Linkin Park iniziano le session del loro album di debutto, Hybrid Theory.
In The End è il quarto ed ultimo singolo dell’album, e lancia la band al successo: arriva al numero due in classifica in America, numero otto in Inghilterra e viene subito considerata la canzone simbolo dei Linkin Park e del loro straordinario cantante Chester Bennington. «Ho avuto il permesso di rimanere da solo in studio tutta la notte, e al mattino avevo scritto il ritornello. L’ho fatta sentire al nostro batterista Rob Bourdon, lui mi ha guardato e ha detto: è la canzone che stavamo aspettando. Io non mi rendevo conto di niente, pensavo che il tentativo di creare una nostra identità come band non stesse funzionando».
Si dice che Mike Shinoda abbia fatto sentire In The End a Chester Bennington, e lui abbia detto: «Non la useremo nell’album, non mi piace». Quando Howard Stern gli ha chiesto se è vero, Mike Shinoda ha risposto: «No, non è vero. Qualcuno pensa che odiasse In the End ma non è così. Chester era un grande cantante metal e gli piaceva la roba più pesante. Non pensava ai singoli». La tensione creativa all’interno dei Linkin Park si basava proprio sulla coesistenza di personalità diverse. Mike Shinoda è un rapper, Rob Bourdon e Brad Delson due solidi musicisti Nu Metal e nella band c’è anche un Dj e programmatore elettronico, Joe Hahn, mentre Chester Bennington ha una profondità espressiva e una potenza da cantante heavy metal capace di arrivare ad ogni tipo di pubblico rock.
«Non era difficile lavorare con Chester» ha detto Mike Shinoda, «Ma era un ragazzo disturbato e spesso complicato, soprattutto all’inizio della nostra carriera quando cercavamo di trovare il nostro suono. A volte spariva per giorni e poi tornava senza dire una parola, oppure era arrabbiato con tutti. Ma era anche molto divertente. Noi ci guardavamo e dicevamo: ok, oggi è una brutta giornata, domani andrà meglio».
Rock News