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David Bowie: la vera storia di Blackstar, ovvero come trasformare la morte in un'opera d'arte

Dall'incontro con un quartetto jazz dietro casa alla malattia celata, secondo Tony Visconti fu "un regalo di addio per il suo pubblico"

David Bowie: la vera storia di Blackstar, ovvero come trasformare la morte in un'opera d'arte

03/07/2025

Il produttore Tony Visconti, amico e collaboratore di David Bowie ha detto una volta: «Ha sempre fatto quello che desiderava nel modo migliore possibile. La sua morte non è stata diversa dalla sua vita: è un’opera d’arte». L’8 gennaio 2016, giorno del suo 69esimo compleanno, David Bowie pubblica il ventiseiesimo album della sua carriera, Blackstar, registrato in segreto all’inizio del 2015 nel piccolo studio analogico Magic Shop di New York, a due passi dal suo appartamento.

Due giorni dopo, il 10 gennaio, il mondo riceve attonito la notizia della sua morte. Blackstar è una delle operazioni artistiche più straordinarie nella storia del rock: secondo Tony Visconti, Bowie lo definiva «Un regalo di addio al suo pubblico», è un disco sperimentale incredibilmente innovativo e intenso, la dichiarazione definitiva di un genio, visionario, alieno, sperimentatore di suoni e maschere, un uomo che ha trasformato la sua esistenza stessa in un’opera d’arte, dal giorno in cui ha cambiato nome da David Jones a David Bowie fino all’ultimo giorno della sua vita.

Tutto comincia una sera quando David Bowie entra in incognito in un locale jazz di New York per vedere il quartetto jazz sperimentale guidato dal sassofonista Donny McCaslin e composto da Mark Guiliana alla batteria, Jason Lindner alle tastiere e Tim Lefebvre al basso. Dopo il concerto, entra nel backstage e gli dice: «Registriamo un album insieme».

Nel dicembre 2014, il Donny McCaslin Quartet riceve dei demo delle sette canzoni di Blackstar e a gennaio entra ai Magic Shop e poi negli studi Human Worldwide di New York con il chitarrista jazz Ben Monder, James Murphy degli LCD Soundsystem alla percussioni e Tony Visconti.

«Nessuno di noi si era accorto della sua malattia» ha detto Tim Lefebvre, «Aveva le idee chiare fin dal primo momento, ha scelto un band unita come la nostra, ci ha dato la libertà di suonare provando qualsiasi idea ci venisse in mente e intanto lui registrava le sue parti vocali tutte dal vivo». La canzone che dà il titolo all’album, Blackstar, è una delle più complesse e affascinanti della sua carriera: nove minuti e 57 secondi (il massimo consentito dalla riproduzione digitale al tempo) di immersione in un suono che va dal jazz al post rock, con al centro il tema della morte, un riferimento studiato ad un classico del rock’n’roll, Black Star di Elvis Presley, l’immagine inquietante della “villa di Omen”, una strofa “al centro di tutto, al centro di tutto” che molti critici leggono come un riferimento al libro Book of Lies dell’occultista più famoso del rock inglese, Aleister Crowley e una storia inquietante sul ciclo infinito di morte e rinascita, in cui Bowie canta:

Il giorno in cui è morto è successo qualcosa. Lo spirito è salito di un metro e si è fatto da parte. Qualcun altro prese il suo posto, e coraggiosamente urlò Sono una Stella Nera

 

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