Rock News
03/02/2023
Il blog di Nick Cave, chiamato The Red Hand Files è uno dei momenti di condivisione e di autenticità più intensi che si siano mai visti nella storia del rock. Più o meno nell’autunno del 2018, il cantante, scrittore e icona della poesia oscura che si nasconde all’interno dell’ispirazione rock ha deciso di rispondere via mail alle domande di un fan. È iniziato così quello che ha definito “un esercizio spirituale”, un filo diretto di comunicazione con il pubblico che lo ha accompagnato negli ultimi cinque anni.
«Potete chiedermi tutto. Non ci sono moderatori. È una cosa fra me e voi, vediamo cosa succede. Con amore, Nick» c’è scritto nella homepage di The Red Hand Files. Nick Cave ha raccontato sé stesso, il suo metodo creativo, i dischi con i Bad Seeds e quelli con Warren Ellis (gli ultimi sono Ghosteen del 2019 e Carnage del 2021), ha dato consigli e parole di conforto e condiviso i lati più nascosti della sua vita da ultimo poeta maledetto segnato da indicibili tragedie personali (la morte di due figli, Arthur nel 2015 e Jethro nel 2022) e i momenti di estasi creativa e sublimazione che prova quando sale sul palco con la sua band.
Nel suo rapporto con i fan, un caso unico nel mondo delle rockstar, Nick Cave non si risparmia mai, scrive lunghe e articolate risposte e accetta qualunque tipo di richiesta, comprese le critiche. Recentemente un fan di nome Ermine gli ha scritto: «Perché sei diventato un hippy da cartolina? In questo blog è tutto gioia, amore, pace. Che schifo. Sembra di ascoltare le parole di un prete alla messa della domenica. Dov’è finita la tua rabbia, l’odio, l’aggressività?».
Una provocazione che richiama la furia espressiva dei Birthday Party, la band post-punk che Nick Cave ha fondato nel 1980 e anche i primi concerti dei Bad Seeds, oppure la sferzata hard rock blues del progetto Grinderman con cui ha pubblicato due album tra il 2007 e il 2010.
Nick Cave ha risposto con una franchezza disarmante: «Le cose sono cambiate quando mio figlio Arthur è morto. Nel bene e nel male, la rabbia di cui parli ha perso il suo fascino e sì, è vero, sono diventato un hippy da cartolina. L’odio ha smesso di essere interessante. Mi sono liberato di quei sentimenti come di uno strato di pelle vecchia. A loro modo, facevano schifo anche loro». Il dolore ha aperto una porta nella sensibilità di Nick Cave: «Ho avvertito l’urgenza di tendere almeno la mia mano per assistere in qualche modo questo mondo così bello e così terribile, invece di continuare a svilirlo e a giudicarlo». La rabbia della giovinezza e l’esigenza di esprimersi in modo ribelle, sommerso dal feedback delle chitarre distorte ha lasciato spazio al Nick Cave solenne e maestoso che dal palco condivide il suo dolore con il mondo, stringe le mani del pubblico, si aggrappa all’arte come forma di salvezza, e in qualche modo continua a vivere e a creare grande musica: «C’era della nobiltà nell’essere arrabbiato con il mondo, nel disprezzare le persone e starmene lì nel mio casino e pensare che il mio disdegno valesse qualcosa. Odiavo tutti e tutto e volevo che la gente non solo conoscesse il mio odio, ma lo provasse anche. Disprezzavo la bellezza, la gioia, la felicità degli altri. Ma alla fine questo comportamento mi è sembrato un po’ stupido».
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