Rock News
21/12/2020
Tom Morello ha avuto la fortuna di suonare negli Audioslave con un grande artista, Chris Cornell. In una nuova intervista per Q della CBC, il chitarrista ha voluto ricordare l’amico scomparso. “Chris era un mito, lasciatemelo dire – ha dichiarato – nella vita reale, lui era davvero un mito. Non ho mai smesso di essere un suo fan. Era un amico, un compagno di band, ma era anche un tipo misterioso. Vi racconto brevemente il nostro primo incontro. Lo incontrammo a un concerto, o forse a un barbecue. In ogni caso, fu quando Tim, il bassista, Brad, il batterista, e io parlammo con il produttore Rick Rubin. Lui era un nostro amico e sapevamo che avrebbe lavorato al nostro album o qualsiasi cosa fosse. Così io e Rick andammo a casa di Chris. Viveva a Ojai, a circa un’ora e mezza di macchina da Los Angeles. È un posto oscuro e boscoso che ricorda la Transilvania. Ovviamente, Chris abitava in una casa isolata che sembrava un castello, sulla collina più isolata. Imboccammo il viale, c’erano delle motociclette intorno, poi c’era questa lunga scalinata e io e Rick la osservavamo dal mio van”.
“Le porte – ha proseguito – si aprirono in stile famiglia Addams, nessuno le aprì. Poi comparve Chris, uno spilungone che scendeva le scale lentamente. Rick si voltò verso di me e disse ridendo ‘Andiamocene da qui!’. Ci sembrava davvero che le nostre anime fossero in pericolo. In Chris c’era davvero qualcosa di speciale. Penso che una parte significativa del suo genio artistico fosse legata con quei demoni che entrarono a far parte di lui sin da giovanissimo. Nella sua musica si poteva percepire tutto questo, nei suoi testi e nella sua vita. C’erano davvero dei luoghi ai quali io non ho mai avuto accesso. L’unico aspetto positivo sono questi ricordi e questi dischi. Chris ha realizzato musica incredibile che potremo ascoltare per sempre. Penso a lui ogni giorno – ha concluso – ogni singolo giorno”.
Dopo aver ricordato Chris Cornell, Tom Morello ha parlato degli esordi dei Rage Against The Machine: “La nostra prima performance davanti al pubblico fu all’Università Cal State, a Northridge. Fummo presentati da Johnny Sabella, una studentessa della Cal State. Ogni band ha quel quinto componente, quello che aiuta in tutto. Non ce la puoi fare senza Johnny Sabella – ha detto ridendo – lei era il nostro assistente, ci procurò quel concerto e quella fu la prima volta che suonammo in pubblico. Aprimmo il set con una versione strumentale di Killing In The Name, questo brano in quel periodo non aveva ancora un testo. Il video di quell’esibizione è da sempre su YouTube e la cosa che ho notato sin dall’inizio di quel concerto è che la band è arrivata quasi del tutto al completo”.
Il testo che i RATM in seguito scrissero per Killing in the Name è basato sull’omicidio di Rodney King per mano di un poliziotto. È dunque una canzone che parla di razzismo e, non a caso, è stata utilizzata come inno nell’ambito del recente movimento Black Lives Matter e delle proteste nate quest’anno dopo la morte dei George Floyd. “La musica – ha detto Tom Morello in proposito – non solo quella dei RATM, ma la musica in generale, è una componente importante dei movimenti sociali […] sono contento che la nostra musica, anche qualche mio pezzo e i pezzi degli altri artisti, siano stati cantati e ascoltati per le strade nel 2020. Temo che accadrà di nuovo anche nel 2021. Immaginate se nessuno avesse fatto nulla, a che punto sarebbe arrivato il mondo adesso? È un continuo braccio di ferro in questi tipi di antagonismo, la razza, la classe, gli antagonismi ci saranno sempre e se non ci mettiamo del nostro per fermarli, il rischio è quello che prendano un’orribile direzione”.
I Rage Against the Machine sono sempre stati una band “politica” in un certo senso e Tom Morello è convinto che la musica possa avere davvero un ruolo fondamentale: “La musica può cambiare il mondo? – ha detto in proposito – la risposta ovviamente è ‘Sì, ha cambiato il tuo mondo e ha cambiato il mio’. È questa la missione. La musica è sempre stata assolutamente senza compromessi e senza remore, penso sia per questo che è sempre stata considerata vera. Tutti noi abbiamo avuto un determinato contatto con alcuni dischi significativi in tal senso. Per me sono stati quelli di artisti come i Clash e i Public Enemy. La differenza è che questi artisti mi hanno mostrato nuove idee, mentre altri erano già in armonia con le idee che avevo ma che non trovavano una rappresentazione nel posto in cui sono cresciuto. Mi hanno fatto sentire meno solo nelle mie convinzioni anti-imperialiste, da ragazzo di 16-17 anni che è cresciuto in una zona periferica molto conservatrice di Chicago, dove l’idea principale era di lavorare alla Dairy Queen, studiare all’Università dell’Illinois, ottenere un buon lavoro in ufficio e basta. E poi dovevi votare per i Repubblicani”.
“Joe Strummer e Chuck D. stavano dicendo la verità – ha proseguito – in un modo diverso da quello dei miei insegnanti a scuola o dei telegiornali. Tutto questo. Mi ha fatto davvero capire che c’era un mondo oltre il Dairy Queen e quel lavoro in ufficio del quale avrei potuto fare parte anche io”. Per Tom Morello, insomma, l’aspetto politico della musica è fondamentale: le canzoni possono diventare un veicolo di nuove idee che possono far riflettere il pubblico su temi sociali importanti.
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