Rock News
13/12/2019
Nella storia della musica ci sono degli album che certamente ne hanno cambiato il corso, diventando delle vere e proprie pietre miliari: una di queste è senza dubbio London Calling dei Clash. Con questo album la band inglese si impose sulla scena punk-rock del periodo, ottenendo un enorme successo.
Questo incredibile disco è uscito il 14 dicembre del 1979 e quindi quest’anno festeggia il suo 40esimo anniversario. Per l’occasione, abbiamo deciso di raccontarvi 10 particolari che forse non sapete sulla sua storia.
1 – L’origine dell’iconica foto sulla copertina
Paul Simonon che distrugge il suo basso sul palco è l’immagine che compare sulla copertina di London Calling e che da sempre viene associata alla rabbia anarchica e all’idea di ribellione che da sempre i Clash, e il punk in generale, evocano. In realtà, se il bassista fece a pezzi il suo strumento non fu per compiere un gesto di sfida nei confronti del sistema, bensì per esprimere il proprio rabbioso disprezzo nei confronti del pubblico, giudicato troppo “spento” per un concerto punk-rock. In realtà, non era colpa degli spettatori: il musicista in seguito spiegò che i buttafuori del Palladium, il luogo dove la band tenne quel concerto a New York, impedirono alla gente di alzarsi in piedi perché in quel tipo di locale il pubblico doveva rimanere seduto. È facile immaginare la frustrazione di una band come i Clash in quella situazione ed è anche facile comprendere il perché del gesto estremo di Simonon.
2 – Il no della fotografa
A scattare l’iconica foto fu Pennie Smith, fotografa molto famosa che nella sua carriera ha ritratto tantissimi artisti del rock, dal Ramones fino ai Led Zeppelin, passando per gli Stones. Quando scattò quella foto non poteva immaginare che sarebbe diventata una delle foto più rappresentative della storia della musica. In realtà, dopo averla vista Pennie decise di scartarla e di non farla nemmeno vedere a Simonon perché secondo lei era venuta troppo sfocata. Nonostante questo non riuscì a nasconderla, né tanto meno a impedire alla band di utilizzarla: era proprio per quell’imperfezione, oltre che per la scena ritratta, che questa immagine era perfetta per incarnare lo spirito del punk-rock. Oggi Pennie Smith lavora ancora e il suo studio si trova a Londra in una vecchia stazione ferroviaria in disuso, in perfetto stile rock.
3 – Il momento esatto dello scatto
Pennie Smith ha conservato l’orologio indossato da Paul Simonon proprio la sera di quel concerto al Palladium: quando il musicista distrusse il suo basso probabilmente il suo orologio si ruppe perché è fermo proprio da allora e testimonia che la famosa foto di London Calling è stata scattata esattamente alle ore 9:50.
4 – L’impronta di Elvis
Sebbene, come abbiamo anticipato, questa foto sia associata allo spirito ribelle e anarchico del punk, in realtà la copertina dello storico album è un chiaro tributo a Elvis Presley. Perché? Semplice: prendete la copertina dell’album d’esordio del Re del Rock uscito nel 1956 e ve ne renderete conto da soli. Anche sulla copertina del disco di Elvis, infatti, campeggia un’immagine in bianco e nero dell’artista con la chitarra, anche se lui ovviamente non era in procinto di distruggerla: le scritte, inoltre, presentano lo stesso carattere tipografico e gli stessi colori, rosa e verde, di quelle che compaiono sulla copertina di London Calling. Con questa scelta, dunque, i Clash hanno voluto rendere omaggio alla leggenda del rock e sottolineare il loro legame con le radici di questo genere musicale.
5 – Il francobollo
Nel 2010 la copertina di London Calling divenne un francobollo della collezione Album Covers che comprendeva anche altre iconiche copertine, come quella di The Division Bell dei Pink Floyd, quella di Let It Bleed dei Rolling Stones e quella di A Rush Of Blood To The Head dei Coldplay. Per il popolo britannico tutte le immagini che vengono usate sui francobolli diventano parte dell’immaginario collettivo e diventano immortali. Quella dei Clash, in realtà, probabilmente già lo era diventata prima del 2010.
6 – I resti del basso
Dopo 40 anni dalla sua distruzione, il Fender Precision Bass di Simonon, o meglio, ciò che ne resta, diventerà un pezzo da museo: dalla mostra del museo della Rock and Roll Hall of Fame di Cleveland, lo strumento è stato di recente esposto al Museo di Londra nell’ambito della mostra “The Clash: London Calling”.
7 – Tra calcio e musica
Dopo aver ampiamente trattato della copertina di London Calling, parliamo di cosa accadeva durante le prove per la registrazione dell’album: tra una session e l’altra, i Clash si “rilassavano” giocando a calcio. Queste partite, in realtà, erano piuttosto faticose e brutali perché loro non si risparmiavano: “Giocavamo fino a che non eravamo sfiniti e poi iniziavamo a suonare”, ha raccontato Joe Strummer in una vecchia intervista. Tra l’altro, i musicisti coinvolgevano nelle loro partite chiunque andasse a trovarli in studio o chiunque lavorasse con loro: “Il capo della CBS Records rimediò un calcio sullo stinco. Fu piuttosto divertente”, ha raccontato, invece, Paul Simonon. Di sicuro il produttore si divertì un po’ meno.
8 – Il produttore pazzo
Con gran dispiacere della CBS, i Clash decisero di chiedere a Guy Stevens di produrre il loro album. Peccato che il produttore avesse seri problemi di droga e alcool e fosse anche un po’ pazzo. “Una volta prese una scala e iniziò a farla ruotare – ricordò in un’intervista Mick Jones – poi lanciò sei-sette sedie contro il muro”. Durante le fasi di lavorazione, inoltre, Stevens era solito discutere con il tecnico del suono Bill Price che, mentre con una mano lavorava con il mixer, con l’altra cercava di tenere fermo il produttore.
9 – La title track
Oggi usata spesso impropriamente sui social, la frase “London Calling” ha in realtà un significato molto preciso: si riferisce, infatti, al segnale radio che il BBC World Service utilizzava in quel periodo così complicato per la Gran Bretagna. L’intero album contiene numerosi riferimenti a ciò che stava accadendo in quegli anni, dalla disoccupazione, fino al dilagare delle droghe e al razzismo. Per i Clash questo titolo avrebbe dovuto indicare la “cultura grezza e popolare del rock”: “Guardavamo agli artisti del passato con grande ammirazione – ha spiegato Strummer – ma molti dei problemi che la gente stava affrontando in quel periodo erano nuovi e spaventosi. Il nostro messaggio era più urgente perché tutto stava andando in pezzi”.
10 – La ghost track
Train in Vain è il titolo della 19esima e ultima traccia del disco: fu il terzo singolo estratto anche se, in realtà, quando l’album uscì questo titolo non era indicato nella copertina. La canzone, infatti, avrebbe dovuto essere un bonus track per un concorso della rivista New Musical Express, al termine del quale il brano fu aggiunto nelle ristampe del disco.
“Alcuni siti descrivono Train in Vain come una ghost track ma in realtà l’intento non era quello di nasconderla – ha spiegato il tecnico del suono Bill Price – la copertina era già stata stampata quando poi abbiamo aggiunto questa canzone alla fine del nastro master”.
Un’altra curiosità che riguarda questo brano è che, nonostante il titolo, nel testo non vengono menzionati treni, visto che in realtà è una sorta di canzone d’amore. Secondo Mick Jones il ritmo del pezzo ricorderebbe quello di un treno che passa, ed ecco spiegato il titolo.
Rock News