Rock News
23/07/2025
La prima volta che Ozzy Osbourne è salito sul palco il 24 agosto 1968, secondo quando ha raccontato il batterista Bill Ward: «Siamo affondati come il Titanic». La band fondata da Ozzy con Geezer Butler (che ha già suonato con lui in un gruppo chiamato Rare Breed) e gli ex membri dei Miythology Tony Iommi e Bill Ward si chiamava The Polka Tulk Blues Band e comprendeva anche un secondo chitarrista e un sassofonista. «Ci hanno detto che Ozzy era un cantante pessimo e che io non sapevo suonare il basso, e poi siamo stati coinvolti in una rissa mentre caricavamo gli strumenti sul furgone».
Inizia così la leggenda di John Michael Osbourne, nato il 3 dicembre 1948 e cresciuto nel quartiere operaio di Aston a Birmingham. Sua madre Lilion lavorava in fabbrica, suo padre John Thomas detto “Jack” faceva i turni di notte alla General Electric Company e la famiglia di cui facevano parte anche tre sorelle più grandi e due fratelli più piccoli viveva in una casa con due stanze al numero 14 di Lodge Road. Ozzy è un ragazzino dislessico e problematico (a 17 anni passa sei settimane nel riformatorio Winson Green per aver rubato in un negozio) come ha detto lui stesso trova la sua ragione di vita dopo aver ascoltato nel 1963 She Loves You dei Beatles: «Ho deciso che sarei stato una rockstar per il resto della mia vita».
La Polka Tulk Blues Band elimina il sassofonista e la seconda chitarra e cambia nome in Earth e inizia a suonare nelle serate Henry’s Blueshouse, poi Geezer Butler passando davanti ad un cinema di Birmingham vede la locandina del film I tre volti della paura del regista horror italiano Mario Bava (con lo pseudonimo di John Old) che in Inghilterra è uscito con il titolo Black Sabbath, racconta a Ozzy di una stana esperienza che ha avuto una notte in cui ha visto qualcosa strisciare ai piedi del letto: «Quel nome misterioso ci ha dato una direzione» ha detto Toni Iommi, «Toccava a noi parlare di questo mondo sempre più strano».
I Black Sabbath rappresentano il suono industriale, grezzo e arrabbiato delle zone più povere e dimenticate di Birmingham, simboleggiano con le loro tonalità oscure il fumo denso delle ciminiere e le fabbriche di acciaio in cui Tony Iommi (cresciuto anche lui ad Aston) in un incidente sul lavoro ha perso due falangi della mano destra: «Mi hanno detto che non avrei più suonato la chitarra, ma io mi sono inventato un modo tutto mio, aggressivo e potente». La voce di Ozzy è un’espressione autentica, sfrenata, un elogio dell’imperfezione che nella scena musicale di fine anni 60, mentre i Led Zeppelin e i Deep Purple elettrificano il blues e portano il rock ad un livello tecnico sovrumano e ad un potenza travolgente, riduce tutto all’essenziale, aggredisce con la sua forza e allo stesso tempo inquieta e trascina il linguaggio rock del suo tempo in un nuovo territorio oscuro, e in un immaginario che definisce l’heavy metal. «Io non mi considero un grande cantante, ma riesco ad avere un rapporto con il pubblico» ha detto Ozzy: «C'è l'artista, poi il vuoto e dopo il pubblico; ma a me piace essere parte del pubblico. Mi piace essere al posto loro e mi piace che loro siano al posto mio».
Ozzy è ironico, espressivo, vive e rappresenta la follia e la ribellione contro ogni convenzione associata al mondo rock (che nel suo caso è assolutamente reale) e cattura subito l’attenzione del pubblico, con una delle sue battute dice «Veramente non me la sento di essere definito il padre del metal, più che altro il fratello maggiore» ma con i primi tre album Black Sabbath e Paranoid del 1970 e Master of Reality del 1971 hanno gettato le fondamenta del genere, mentre con Vol.4 del 1972, Sabbath Bloody Sabbath del 1973, Sabotage del 1975, Technical Ecstasy del 1976 e Never Say Die del 1978 hanno esplorato le sue deviazioni progressive e psichedeliche, aprendo la strada a tutte le sue derivazioni. «Non devi fare un assolo di chitarra per impressionare Joe Satriani o qualche altro chitarrista» diceva Ozzy «ma per ispirare le prossime generazioni a prendere in mano la chitarra e iniziare a suonare».
Ogni tappa della carriera dei Black Sabbath è un punto di riferimento: Paranoid è il riff metal definitivo, War Pigs è la canzone pacifista più violenta della storia (Mike McCready dei Pearl Jam ha raccontato: «Quando ho sentito Ozzy cantare War Pigs mi sono davvero spaventato»), Iron Man è il blues apocalittico che crea personaggi surreali anticipando l’immaginario teatrale del metal. Snowblind una delle “drug song” più esplicite di sempre («I miei occhi sono ciechi, ma riesco a vedere”) registrata in uno dei momenti più folli della loro vita: «Dal buio e freddo di Birmingham ci siamo ritrovati a vivere e registrare a Los Angeles in una villa di Bel Air di proprietà di un milionario» come ha ricordato Ozzy. Sabbath Bloody Sabbath registrato in un castello (che Ozzy rischia di mandare a fuoco dopo aver incendiato per scherzo i suoi stessi stivali) è un anticipazione del goth rock. Henry Rollins dei Black Flag ha detto dei Black Sabbath “Parlano di alienazione e di sentirsi persi nella confusione, c’è qualcosa nella loro musica di moto doloroso ma altrettanto potente». Billy Corgan degli Smashing Pumpkins ha spiegato: «Hanno trasformato il metal in un genere sperimentale. I riff di Tony Iommi e la voce di Ozzy ti fanno sentire diverso, ti aprono le porte di una latro universo come le scene di un film».
Quando i Black Sabbath licenziano Ozzy, esasperati dai suoi comportamenti sempre più fiori controllo durante il tour di Never Say Die con i Van Halen come gruppo di apertura (l’ultimo concerto è ad Albuquerque, New Mexico il 22 dicembre 1978) e lo sostituiscono con Ronnie James Dio dei Rainbow, Ozzy incontra Sharon, figlia del manager dei Black Sabbath, Don Arden, passa tre mesi in delirio a Los Angeles («Pensavo: è la mia ultima festa, poi tornerò a Birmingham a vivere con il sussidio» ha detto) poi ricostruisce la sua carriera con una band composta da Don Airey alle tastiere, Lee Herslake alla batteria, Bob Daisley al basso e il fenomenale Randy Rhoads alla chitarra e torna subito al successo con Blizzard of Ozz che esce il 12 settembre 1980 e Diary of a Madman del 1981 (con i nuovi membri Tommy Aldridge e Rudy Sarzo) considerati tra i migliori album metal di sempre. La morte assurda di Randy Rhoads, che si schianta il 19 marzo 1982 insieme alla costumista Rachel Youngblood a bordo di un piccolo aereo pilotato dal loro autista Andrew Aycock cercando di passare vicino al tour bus dove dormiva Ozzy per fargli uno scherzo, tutto si ferma e poi ricomincia ancora, perché nel mondo del Principe delle Tenebre non sembra mai esistere la parola fine. Come ha detto lui stesso in nuna delle ultime interviste presentando la sua ultima autobiografia Last Rites: «Ogni tanto le persone mi chiedono: se potessi rifare tutto da capo cambieresti qualcosa? Assolutamente no. Se avessi fatto cose normali, non sarei Ozzy».
Altri tre album negli anni 80 (Bark at the Moon, The Ultimate Sin e No Rest For Fhe Wicked), poi il successo di No More Tears (nella band ci sono Tony Cavillo e Bob Daisley) che nel 1991 arriva al numero sette in classifica in America grazie al singolo Mama I’m Coming Home e I Don’t Wanna Change the World premiata con un Grammy. Il festival Ozzfest e il reality The Osbournes, le reunion con i Black Sabbath e i No More Tours che in realtà non finiscono mai, altri cinque album tra gli anni 90 e 2010 (Ozzmosis, Down to Earth, Inder Cover e Black Rain e Scream) fino al ritorno clamoroso in classifica con Ordinary Man numero 3 in Amercia e in Inghilterra e poi al numero uno con Patient Number 9 che nel 2022 con la produzione di Andrew Watt e la partecipazione di una lista infinita di musicisti di ogni genere ed epoca, da Elton John a Post Malone, Slash, Tom Morello, Chad Smith, Duff McKagan, Zakk Wylde, Mike McCready, Josh Homme, Robert Trujillo, Taylor Hawkins, Chris Chaney, Jeff Beck, Eric Clapton. Fino al finale da film, la scomparsa a 76 anni poche settimane dopo l’ultimo concerto Back to the Beginnings allo stadio Villa Park di Birmingham con la reunion dei Black Sabbath, l’ultimo saluto al pubblico seduto su un trono nero, il corpo fermo ma lo sguardo incendiato mentre canta per l’ultima volta Paranoid gridando al pubblico «Scatenatevi, è l’ultima canzone!».
Resta il ricordo di un personaggio unico nella storia del rock e la sua eredità musicale: «Finchè ci saranno ragazzi che avranno bisogno di sfogare la loro rabbia, l'heavy metal sopravviverà» ha detto Ozzy.
La rockstar più imperfetta e autentica di sempre ha riempito di aneddoti deliranti la storia del rock (dal pipistrello alle formiche) ma ha definito sé stesso nel modo più semplice e struggente in una strofa del brano Ordinary Man del 2020 quando sentendo di essere quasi giunto al termine del suo incredibile cammino si è guardato indietro e ha cantato: «Non ero preparato per la fama, e all’improvviso tutti conoscevano il mio nome. Non ho più passato una notte da solo, era tutto per voi. Ho visto sorrisi e lacrime ma ricordate che l’ho fatto per voi. Non so perché sono ancora vivo, ma la verità è che non voglio morire come un uomo qualunque».
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