Rock News
02/09/2021
«Cosa stiamo accordando? Un’arpa? Pensavo fossimo una grande rock band piena di soldi, dovremmo avere un sacco di chitarre». Sono le parole mormorate nel microfono da Kurt Cobain sul palco del Sony Music Studios di New York alla fine di Something in the Way durante il concerto Unplugged in New York registrato per le telecamere di MTV il 18 novembre 1993, pubblicato il 1 novembre 1994 e considerato uno dei più grandi album live di tutti i tempi.
In quelle parole di Kurt Cobain c’è tutta la sua intelligenza e il suo sarcasmo, la sua insofferenza verso i meccanismi del music business che stanno schiacciando la sua ricerca di autenticità e purezza artistica, il racconto pieno di sofferenza interiore di due anni assurdi e inaspettati dei Nirvana che dal 1991 al 1993 dopo il successo di Nevermind ma anche quello del loro album più radicale, In Utero, sono stati catapultati dall’underground di Seattle ai primi posti in classifica in America.
Durante l’Unplugged Kurt Cobain mette in scena la sua fragilità, la profondità della ricerca musicale che sta dietro alla rabbia e all’energia elettrica e distorta dei Nirvana e mostra quello che avrebbe potuto fare se fosse riuscito a rimanere ancora in pieno controllo di sé stesso, del suo talento e dei suoi demoni, come in quei sessanta minuti di performance straordinaria in cui appare bellissimo e sublime seduto davanti al microfono con in mano una chitarra acustica Martin D-18E del 1959.
Quattordici canzoni di cui solo otto dei Nirvana, cover di pezzi sconosciuti della band scozzese The Vaselines (Jesus Doesn’t Want Me for a Sunbeam) dei Meat Puppets (Plateau, Oh Me e Lake of Fire) e di David Bowie (The Man Who Sold the World) e di Leadbelly (il finale drammatico di Where Did You Sleep Last Night), brani per i quali Kurt Cobain si scontra con i produttori dello show, pretendendo di inserirli in scaletta e che dopo il concerto diventano istantaneamente famosi in tutto il mondo, il violoncello di Lori Goldston e sul palco insieme a Kurt Cobain, Krist Novoselic a piedi nudi e Dave Grohl anche un’icona punk come Pat Smear dei Germs e i membri dei Meat Puppets, anche se come ha detto Kurt: «Loro volevano i nomi giusti, tipo Eddie Vedder, Tori Amos e non so chi altro».
«Avevamo visto gli altri concerti della serie Unplugged e non ci erano piaciuti» ha raccontato Dave Grohl, «La maggior parte delle band li interpretava come dei concerti rock, suonavano le hit come se fossero al Madison Square Garden ma con le chitarre acustiche». I Nirvana vogliono un’atmosfera, vogliono mostrare intensità e fragilità, non vogliono suonare né Smells Like Teen Spirit né In Bloom in acustico, iniziano con About a Girl che Kurt presenta dicendo «Questa è dal nostro primo album che la maggior parte della gente non conosce» cercano un impatto visivo scegliendo personalmente le decorazioni con candele e fiori per il palco: «Come un funerale?» gli chiede il producer di MTV Alex Coletti, «Esatto, come un funerale» lo gela Kurt.
«Doveva essere un disastro» ha ricordato Dave Grohl, particolarmente sotto pressione perché in un concerto Unplugged il batterista ha il compito di guidare la band mantenendo il controllo del suono, «Non eravamo abituati a suonare in acustico, abbiamo fatto un paio di prove ed erano orribili. Poi però ci siamo seduti sul palco, le telecamere hanno cominciato a girare ed è scattato qualcosa». Si dice che fino all’ultimo Kurt non fosse convinto, e che volesse «Riattaccare la spina ai Nirvana» come ha detto il loro tour manager Alex MacLeod, «Poi ha capito che doveva solo lasciarsi andare e aprirsi completamente». Nessuno può sapere cosa stava passando quella sera nella mente di Kurt Cobain, che sei mesi dopo si suiciderà a Seattle, ma l’equilibrio e la perfezione della sua esibizione sul palco del Sony Music Studios di New York ha dato vita al miglior album dei Nirvana e ad uno dei momenti più intensi nella storia del rock.
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