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Green Day, Billie Joe racconta com’è nato il nuovo album: “Immaginate gli anni ‘60, cantati da Prince ma in chiave punk”

La band torna a parlare di Father of All e della loro scelta di sperimentare un nuovo sound

Dopo Revolution Radio, uscito nel 2016, i Green Day sono tornati in scena quest'anno con un brano molto particolare, un lavoro nel quale Billie Joe Armstrong ha voluto inserire anche alcuni elementi ripresi dalla fase soul che ha vissuto negli ultimi tempi. Di recente, infatti, il frontman ha cercato ispirazione un po’ ovunque: “Volevo fare qualcosa di diverso”, ha spiegato a Rolling Stones, raccontando di aver ascoltato un po’ di tutto, da Smokey Robinson fino ad Amy Winehouse.

Ho sempre amato la musica britannica anni ’60 – ha spiegato a Rolling Stone – e in quel momento ho voluto risalire alla sua fonte per capire se avrei potuto inserire un po’ di soul nella nostra musica, attraverso il filtro dei Green Day. Questo si è tradotto in tentativi ed errori, roba per la quale mi sono strappato i capelli”. Trovare una nuova strada, un nuovo sound che incorporasse anche il soul, non è stato affatto facile, ma alla fine l’illuminazione è arrivata. 

Armstrong si trovava nella sua casa di Newport Beach, in California, insieme a Tré Cool quando quest’ultimo d’un tratto ha iniziato a suonare un “ritmo dannatamente violento”, così per caso, e quel ritmo ha colpito nel segno. Armstrong ha pensato subito a un titolo per la potenziale nuova canzone, Father of All Mo*********rs, per l’appunto, immaginandosi in uno scenario dance anni ‘60 a cantare in falsetto tipo Prince.

Ho detto al mio tecnico del suono ‘Posso sembrare un maledetto idiota, ma abbi pazienza’ – ha raccontato ancora il cantante – la canzone è uscita fuori come un unicorno che vola in cielo. Così ha detto ‘Non so cosa sia tutto questo, non so come io l’abbia partorito, ma questa è la direzione che intendo prendere’”. Ed è così che quella canzone è poi diventata la title track del nuovo album in uscita il prossimo 7 febbraio: in questo disco i Green Day hanno dunque scelto la via della sperimentazione, avventurandosi in un terreno mai esplorato prima, fatto di ritmi più ballabili, riff asciutti e un sound che ricorda vari generi, dalla New Wave fino al rhythm and blues.

Billie si stava spingendo verso qualcosa di nuovo – ha aggiunto Mike Dirnt – e noi dovevamo stargli dietro, cosa più che normale per noi, perché nessuno riesce a scavare più a fondo di Billie”. Il bassista, però, ha spiegato che nonostante questa apertura verso nuovi orizzonti, in questo nuovo album non mancano pezzi vicini al loro classico stile punk, come ad esempio Meet Me on the Roof e Junkies on a High. L’unica cosa che manca in questo disco è la critica politica, almeno quella più esplicita: se con American Idiot nel 2004 i Green Day hanno deciso di schierarsi apertamente contro l’amministrazione Bush, in questo disco hanno scelto invece di non inserire alcun riferimento a Donald Trump. “Non vogliamo dare a un pezzo di m***a come lui alcuno spazio – ha spiegato il bassista - Hai già avuto i tuoi 15 minuti. F*****o”.

A 25 anni dall’uscita di Dookie, insomma, i Green Day con Father of All hanno dimostrato di avere ancora qualcosa da dire, oltre che la voglia di mettersi gioco e di rischiare lanciandosi in qualcosa di nuovo, anziché fossilizzarsi sul sound al quale i fan sono abituati. Inutile dirlo, il trio ha anche una gran voglia di tornare a esibirsi dal vivo e, piuttosto che ridursi a un tour celebrativo per l’anniversario dell’uscita del loro album di maggior successo, ha scelto di aspettare la pubblicazione di questo nuovo lavoro per poi fare le cose in grande con un tour negli stadi.

Stiamo parlando dell’Hella Mega Tour, la serie di concerti che vedrà i Green Day esibirsi in tutto il mondo, con i Weezer come gruppo spalla, nell’estate del 2020. “Suonare negli stadi non è un granché in sé per sé – ha detto in proposito Armstrong – ma volevamo davvero realizzare il più grande tour rock dell’anno”. Questo tour che, tra l’altro, toccherà anche l’Italia per ben due date, la prima il 10 giugno 2020 al Milano Summer Festival e la seconda l’11 giugno al Firenze Rocks, sarà preceduto da alcune date con protagonisti i soli Green Day, insieme ai Fall Out Boy, i cui componenti hanno spiegato che la loro band non sarebbe mai nata senza Dookie. In quanto ai Weezer, sono amici di vecchia data dei Green Day, in quanto hanno esordito più o meno nel loro stesso periodo.

L’idea di tornare a esibirsi negli stadi ha fatto sì che Armstrong, Dirnt e Cool ripensassero al passato, con orgoglio e forse anche un po’ di nostalgia; l’importante, però, è pensare al presente e al futuro con la stessa voglia di suonare di 30 anni fa e quella grinta per la quale sono noti. “Mi chiedo come diavolo faccia a stare ancora in piedi e a suonare ancora quella che considero essere la migliore musica della mia carriera – ha detto Dirnt – ne sono grato ogni giorno, ma sono ancora affamato e ho ancora voglia di suonare e di fare casino”.

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