Rock News
06/04/2023
Peter “Feebie” Freestone, amico, confidente e assistente personale di Freddie Mercury dal 1979 fino all’ultimo giorno della sua vita, ricorda il momento in cui ha visto per la prima volta il futuro cantante dei Queen al Rainbow Room Restaurant da Biba, il negozio icona della moda e della creatività della Swingin London di fine anni ’60: «Stavo bevendo un tè e all’improvviso senza una ragione apparente tutte le persone si sono girate a guardare verso l’entrata. Era arrivato Freddie: capelli neri lunghi, pelliccia di volpe, unghie dipinte di nero. Non potevi fare a meno di guardarlo».
Freddie era agli esordi, e all’inizio della sua trasformazione in una delle rockstar più affascinanti e travolgenti della musica inglese. Nato come Faroukh Bulsara a Zanzibar in una famiglia di etnia Parsi che lavorava per l’Impero Britannico, cresciuto in un college inglese in India, arrivato a Londra con la famiglia in fuga dall’isola africana dopo l’indipendenza della Tanzania, attratto irresistibilmente dal rock e dall’arte di Londra, ha cambiato nome in “Mercury” ed è entrato con la sua creatività stravagante e la sua personalità nella band The Smile formata da Brian May e Roger Taylor, per la quale sceglie il nome Queen.
Nel 1973, quando i Queen esordiscono con il primo album omonimo, Peter Freestone lavora per la Royal Opera House, è un appassionato di musica classica e come tutti quelli che hanno incontrato Freddie dice di lui: «Era una star prima ancora di diventarlo». Anni dopo, il 7 ottobre del 1979 Freddie realizza il suo sogno di unire rock e balletto e si esibisce con il Royal Ballet di Londra eseguendo Bohemian Rhapsody e Crazy Little Thing Called Love sul palco della Royal Opera House. Dopo lo spettacolo, qualcuno gli presenta Peter Freestone: «Mi ha chiesto cosa facessi e io gli ho detto solo che mi occupavo dei costumi di scena» ha raccontato nel libro “Freddie Mercury, Una biografia intima”, «Una settimana dopo mi è arrivata una chiamata da parte dello staff dei Queen: mi hanno chiesto se ero disponibile per occuparmi dei costumi della band durante un tour di sei settimane».
È l’inizio di una amicizia autentica e di una relazione umana e professionale che dura fino al giorno della scomparsa di Freddie Mercury il 24 novembre 1991. Peter Freestone è stato assistente personale, cuoco, maggiordomo, consulente, guardia del corpo di Freddie per dodici anni, vivendo sempre al suo fianco tra Monaco di Baviera e New York (dove trascorre gran parte degli anni 80), e la villa di Kensington a Londra.
«Avevamo avuto la stessa educazione: anche io sono cresciuto in un college in India. Ci capivamo istintivamente, a volte non doveva neanche parlare: se aveva bisogno di un drink, di una sigaretta o di un po’ di compagnia per parlare male di qualche giornalista che lo criticava io arrivavo sempre». Peter Freestone ha visto da vicino la rockstar Freddie Mercury (che si dice avesse sempre in casa un frigorifero pieno di champagne Crystal, bottiglie di vodka gelata e cocaina) e l’uomo vulnerabile e sensibile che cercava amore e relazioni autentiche e che ha deciso di cantare e fare musica anche dopo aver ricevuto a soli 40 anni la drammatica notizia di essere malato di Aids: «Eravamo a casa sua, una mattina di maggio del 1987 quando me lo ha detto. Sapevamo tutti e due che era una condanna a morte. Mi ha detto che da quel momento non voleva parlarne mai più, voleva solo continuare a vivere e io l’ho aiutato» ha scritto Peter Freestone, raccontando anche gli ultimi commoventi attimi trascorsi accanto a lui: «La sera del 22 novembre 1991, poco dopo aver diffuso il comunicato stampa in cui dichiarava di essere malato di AIDS, ho iniziato le mie ultime dodici ore con lui. Non l’avevo mai visto così sereno e in pace, non c’erano più segreti. Abbiamo parlato e riso per tutta la notte e alle otto del mattino mi ha preso la mano e mi ha detto: grazie. Non so se volesse ringraziarmi per i dodici anni che ho passato con lui o per quelle ultime dodici ore. È stata l’ultima volta che l’ho visto».
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