22/03/2021
E' uscito anche in formato fisico No One Sings Like You Anymore, la raccolta di 10 cover registrata da Chris Cornell nel 2016 e curata da Vicky Cornell per conto della The Chris Cornell Estate. Ecco l'intervista fatta da Giulia Salvi a Vicky per parlare di questo pregetto e del ricordo del grande Chris.
L’ultima volta che ti ho vista è stato in occasione dell’ultimo concerto italiano di Chris nel 2015. Ho avuto l’opportunità e l’onore di incontrarlo per la sua ultima intervista italiana. Hai dei ricordi particolari legati al nostro Paese?
“Certo, ci abbiamo vissuto per un po'. Per noi è una seconda casa”.
Parliamo del disco di cover No One Sings Like You Anymore.
“È un sentimento dolce-amaro perché è l’ultimo disco creato da Chris, sottolineo che lo aveva ultimato del tutto e masterizzato, era pronto alla pubblicazione e al tour, non vedeva l’ora. È difficile per me pubblicarlo ora, ma ho pensato che fosse il momento giusto dopo l’anno difficile che abbiamo passato tutti. È stato grazie all’amore dei fan negli ultimi tre anni e mezzo che ho potuto farlo: il loro affetto per Chris per noi è qualcosa di incredibile e voglio ringraziare tutti dal profondo del cuore. Per me e i miei figli significa tutto”
Grazie a te per continuare a condividere la sua musica. Riguardo alle cover, Chris sosteneva che se un brano è buono, lo puoi anche rivedere e ri-arrangiare da un altro punto di vista e questo continuerà ad essere un grande pezzo. Ti ricordi qualche cover in particolare che Chris era solito suonare in casa?
“Faceva cover di continuo! Anche di Love the Way You Lie di Eminem ft. Rihanna! Nostra figlia all’epoca aveva 5 o 6 anni e cantava con lui. Mi ricordo la cover di Billie Jean… ne suonava davvero di ogni tipo in casa e ogni tanto le faceva anche live. Patience è un’altra di quelle nate in casa e poi portate in studio”.
Questa è la grandezza del rock: sperimentare e fare cover assurde…
“Anche Chris sosteneva questo: non ci sono regole nel rock’n’roll. Il crossover è l’essenza della musica e lui si rifiutava di essere etichettato con un genere specifico”.
Mi hai nominato Patience, dei Guns N' Roses, il pubblico di Virgin Radio ama quella cover, nata in casa come mi raccontavi da un’esperienza con vostra figlia Toni. Quanto era importante per Chris insegnare la musica ai vostri figli?
“Sai, è buffo, perché quando erano piccoli i nostri amici erano sorpresi che lui non avesse già iniziato a insegnare loro a suonare il piano, ma noi eravamo dell’idea che se avessero “gravitato” intorno agli strumenti, allora sarebbe stato diverso. Ad esempio io sono stonatissima e loro avrebbero potuto aver preso da me! Invece in loro c’è il gene musicale e abbiamo preferito un approccio spontaneo alla musica. Hanno iniziato a suonare da soli nelle loro camere ed è diventata una cosa di famiglia. Toni in particolare passava ore e ore in studio col papà. Mentre Chris scriveva, lei imparava ad usare le attrezzature. Era un’esperienza da condividere solo col papà”.
Quindi Chris non era quel tipo di musicista che non vuole che i figli seguano le proprie orme. Se Toni dunque venisse da te a dirti che vuole intraprendere la carriera del padre, a te andrebbe bene?
“Chris diceva sempre: ‘Scegli la tua passione e sii felice”. Qualunque cosa decidano di fare andrà bene. Se vorranno fare i musicisti, ok. Non vi abbiamo mai dato enfasi e non abbiamo mai velato la cosa di glamour, ci sono cresciuti in mezzo e basta”.
Tornando al disco, è prodotto da Brendan O’Brien, uno dei migliori, che ha anche prodotto il suo lavoro precedente Higher Truth. Cosa puoi dirmi del loro rapporto lavorativo? Gli AC/DC su Brendan mi hanno detto grandi cose: che è un tipo sempre allegro e ottimista e che alla fine diventa più un tuo amico, piuttosto che il tuo produttore…
“Sì, Chris lo rispettava sia come amico che come produttore. Brendan lo capiva su ogni aspetto. Erano una grande squadra, aveva prodotto anche un album degli Audioslave. Poco prima di morire gli aveva scritto una email in cui diceva: ‘Stavo guardando la playlist della mia carriera su Spotify e i lavori migliori li ho fatti con te’. Si fidava molto di lui. E’ un disco molto speciale, in cui ci sono solo loro due a suonare tutti gli strumenti”.
È vero che Watching the Wheels di John Lennon era una cover a cui Chris teneva molto?
“Certo, era davvero legato a quel pezzo, ci si sentiva connesso personalmente. Era un grande fan di Lennon, ma questo pezzo in particolare parlava del cambiamento di vita che aveva fatto. Chris ci rileggeva il suo stesso percorso: dall’autodistruzione negli anni ’90 fino agli anni 2000, in cui ha stravolto la sua vita ed è diventato un padre di famiglia. Quando mi raccontava certe storie del suo passato non riuscivo a crederci. Chris ha messo al centro della sua vita la famiglia e noi lo abbiamo seguito on the road per andare avanti insieme. La gente spesso pensa al cliché della rockstar, ma Chris, così come Brendan - ecco perché lavoravano così bene insieme - era un tipo mattiniero, si alzava e andava in studio, come un lavoratore qualunque va in ufficio. La sua vita si basava sulla musica e sulla famiglia ed era riuscito a far combaciare perfettamente le due cose, tutto ciò era davvero speciale”.
Era davvero un family man, mi ricordo voi che vi divertivate in teatro a Milano e la vostra famiglia unita per me sarà sempre un bel ricordo, perché era una cosa che non mi aspettavo di vedere. Cosa mi puoi dire dei progetti della fondazione che porta il suo nome?
“Continueremo ad aiutare i bambini profughi e rifugiati, abbiamo le borse di studio della campagna “Promise” per studiare diritti umani e si continuerà con il master alla UCLA. Ci allargheremo anche alla lotta alle dipendenze e alla prescrizione fuori controllo dei farmaci, tramite la formazione di medici. Questa è una delle condizioni più stigmatizzate al mondo, ancor più della depressione. I miei figli stanno lavorando ad una piattaforma nazionale per la sensibilizzazione allo studio delle dipendenze nelle scuole. Siamo molto impegnati su più fronti”.
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