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Nirvana, quella tragica notte a Roma in cui Kurt Cobain andò in coma. La storia

Redazione Virgin Radio

"Odiava ogni cosa" ha raccontato Courtney Love, "non faceva altro che odiare tutto e tutti"

Il 3 marzo del 1994 Kurt Cobain si trovava a Roma: in quel periodo i Nirvana avevano in programma un tour in Europa, dei concerti che furono ampiamente pubblicizzati e che i fan di ogni Paese attendevano da tempo. La band, però, fu costretta a cancellare diversi show perché il frontman non stava bene. In quel periodo Kurt soffriva di una forte depressione e aveva iniziato a stare male già prima del suo arrivo in Italia. Il 30 gennaio era entrato in studio per l’ultima volta, per incidere il brano You Know You’re Right, pubblicato poi postumo; pochi giorni prima del suo soggiorno romano, invece, Kurt tenne il suo ultimo concerto con i Nirvana al Terminal 1 di Monaco, in Germania. Poi la droga, una relazione amorosa complicata, il difficile rapporto con la fama e chissà quali altri problemi, portano l’artista per la prima volta davvero sull’orlo del precipizio.

In un’intervista del 1994 per Rolling Stones, Courtney Love raccontò che Kurt si rivolse a lei in quel momento difficile: «Odiava ogni cosa – raccontò l’allora leader delle HoleNon faceva altro che odiare tutto e tutti. Mi telefonò dalla Spagna piangendo. Io me n’ero andata ormai da 40 giorni e per la prima volta mi stavo occupando dei fatti miei con la mia band». Quello di Kurt era un grido d’aiuto: quando si trovava a Roma, Kurt si stava riprendendo da un terribile mal di gola che gli aveva fatto andare via la voce, altro motivo per colpa del quale i Nirvana furono costretti a cancellare alcune date. Fu proprio nella capitale che alla fine Courtney Love raggiunse il marito.

In quella tragica notte tra il 3 e il 4 marzo del 1994 accadde qualcosa che in un certo senso avrebbe dovuto lanciare un campanello d’allarme. Fu una sorta di presagio e, infatti, purtroppo un mese dopo Kurt fu trovato morto nella sua casa di Seattle. Il cantante e la moglie quella sera restarono nella loro camera in albergo, all’Hotel Excelsior, dove si fecero servire la cena con tanto di champagne. Con loro c’era anche la piccola Frances Bean, nata nell’agosto del 1992. La mattina dopo, quando Courtney si svegliò intorno alle 5:30, trovò Kurt sul pavimento vicino al letto privo di sensi e col sangue che gli colava dal naso.

Secondo quanto emerse in seguito, oltre al cibo e all’alcool, Cobain quella sera ingerì una dose massiccia di Rohypnol, un farmaco con effetti ipnotici, ansiolitici e sedativi, usato per il trattamento dell’insonnia. Il prodotto, però, genera dipendenza e può diventare una vera e propria droga, con effetti devastanti soprattutto se assunto insieme ad alcool e altre sostanze stupefacenti. Secondo Courtney Love, quella sera Kurt prese addirittura 50 pillole e fu così che andò in overdose.

La cantante chiamò subito la reception dell’hotel che a sua volta chiamò un’ambulanza: Kurt fu portato di corsa al Policlinico Umberto I dove gli fu fatta una lavanda gastrica. In seguito fu trasferito all’American Hospital dove riprese conoscenza qualche ora dopo. In questi 26 anni si è parlato tanto di questo episodio: c’è chi sostiene che quanto accadde non fu che un’overdose accidentale e chi pensa, invece, che quello fu un tentativo di suicidio. A sostenere questa seconda ipotesi è la stessa Courtney Love: «Quello fu un vero impulso suicida – ha detto – considerando che ha inghiottito pillole su pillole». La cantante ha raccontato inoltre che Kurt lasciò anche un biglietto con su scritto: «Il Dottor Baker dice che dovrei scegliere tra la vita e la morte. Io scelgo la morte».

In realtà, inizialmente quanto accadde a Roma non fu visto come un tentato suicidio. Si iniziò a valutare questa ipotesi solo dopo che Kurt si ammazzò davvero, circa un mese dopo quella overdose, il 5 aprile. Il medico che curò il cantante quella sera a Roma, tra l’altro, confutò la tesi di Courtney Love: «In queste circostanze spesso di parla di tentato suicidio – affermò il dottore, come riportato nel libro Love and Death: The Murder of Kurt Cobain – ma secondo in quel caso non fu così». Anche il manager dell’artista sostenne che quella sera il suo assistito non aveva l’intenzione di uccidersi, anche se ammise che poi fu effettivamente trovato quel biglietto scritto da lui.

Forse a Roma Kurt non tentò davvero il suicidio, ma probabilmente era qualcosa su cui stava meditando. In quel momento la depressione lo stava distruggendo, ecco perché forse le persone che gli stavano vicino avrebbero dovuto leggere quell’episodio come un campanello d’allarme. Forse qualcuno lo ha sottovalutato, forse nessuno pensava che Kurt potesse davvero commettere quel folle gesto. Certo è che 27 anni dopo ormai è difficile e forse anche inutile fare una valutazione di quanto accaduto. In ogni caso, la morte di questo grande musicista resterà per sempre una delle più grandi tragedie della storia del rock.

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