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Genesis, Phil Collins: "Non avevo intenzione di diventare il cantante della band. Volevo continuare come un gruppo strumentale"
Il batterista inglese: "Davo la traccia vocale a quelli che facevano le audizioni, ma per i ragazzi la mia era migliore"
Nel 1970, quando aveva solo diciannove anni, Philip David Charles Collins, nato a Londra nel 1951, appassionato della batteria da quando aveva cinque anni e attore affermato fin da bambino nella scena dei musical del West End diventa il batterista della band fondata da tre studenti del prestigiosissimo Charterhouse College del Surrey, Peter Gabriel, Tony Banks, Mike Rutherford e Anthony Phillips che sta costruendo con architetture musicali raffinatissime e virtuose la scena progressive rock inglese, i Genesis. Il batterista John Mayhew che ha suonato sul secondo album Trespass del 1970 ha lasciato la band insieme a Anthony Phillips e i Genesis mettono un annuncio sul Melody Maker a cui risponde Phil Collins (anche Roger Taylor viene contattato per un audizione, ma rifiuta e rimane con Brian May negli Smile, che poi diventeranno i Queen), che suona in una band chiamata Flaming Youth.
L’audizione si svolge nella villa di famiglia di Peter Gabriel: «Aveva un suo stile alla batteria, era un tipo divertente e ci faceva ridere» ha raccontato Tony Banks, «E poi sapeva cantare, il che era un vantaggio perché io e Mike non eravamo bravi a fare i cori». Sei anni e quattro album dopo (Nursery Crime, Foxtrot, Selling England By the Pound e The Lamb Lies Down on Broadway), quando i Genesis sono un’icona della musica inglese più sperimentale con la loro fusione di arte, teatro e rock progressivo, Phil Collins si ritrova ad essere il cantante della band dopo l’addio di Peter Gabriel. «Non è stato facile» ha raccontato nel documentario Phil Collins: Drummer First, «Sono stato io il primo a dire: facciamo solo musica strumentale. Ma mi hanno detto di chiudere la bocca e di tornare dietro alla batteria».
Dopo due album di transizione progressive come Trick of the Tail e Wind & Wuthering del 1976, ultimo disco con il chitarrista Steve Hackett, Phi Collins prende il centro del palco e guida la band verso la trasformazione in un gruppo pop elettronico destinato a dominare le classifiche negli anni 80 con album come Duke, Abacab, Genesis e Invisible Touch, fino a We Can’t Dance del 1991 e con tour mondiali sempre più grandi e spettacolari.
«Eppure io non avevo intenzione di diventare il cantante della band, ma nessun altro voleva farlo» ha detto Phil Collins. La band mette un altro annuncio sul Melody Maker a cui rispondono 400 cantanti, fanno molte audizioni, registrano con Mick Strickland, cantante e suonatore di flauto del gruppo pro Witches Brew, ma alla fine non trovano nessuno: «Io davo la traccia vocale da seguire a tutti quelli che facevano le audizioni e alla fine secondo gli altri della band era sempre la migliore». Il pezzo che convince tutti è Squonk, registrato durante le session di A Trick of the Tail che arriva al numero 3 in classifica in Inghilterra.
«Il pubblico era abituato alla mia voce, ero sempre nei cori o in sottofondo». Phil Collins esordisce dal vivo in Canada nel marzo 1976: «L’esperienza che avevo come attore di teatro mi ha aiutato a gestire il ruolo di frontman. Mi attaccavo all’asta del microfono e non la lasciavo più. Mi è sempre mancata la batteria, sono convinto di essere più bravo come batterista che come cantante».